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Lucio Reale

Il talento cristallino di Lucio Reale ancora rifulge nei ricordi di chi ne racconta le gesta. Nella prima stagione del jazz napoletano è tra le stelle più luminose. La sua attività principale negli anni Cinquanta era quella di solista di night nei maggiori club cittadini, come il Sombrero o il Grottaromana, entrambi del famoso Mario Di Porzio, gestore anche di altri locali napoletani, affollati solitamente da americani. E nella sua casa di Fuorigrotta, vicina alla base NATO, organizzava delle vere e proprie “riunioni musicali” con gli amici napoletani e i soldati americani, durante le quali si suonava e si ascoltavano i preziosi V-disc.

Credits immagine: Courtesy Diego Librando

Lucio Reale fu tra i primi ad affrontare il jazz non come un’attività di pura evasione, ma cercando una sua originalità espressiva. Fu il primo in grado di non sfigurare al cospetto dei militari americani che se lo contendevano nelle animate jam session che vivacizzavano i locali cittadini frequentati dalle truppe alleate. Proprio grazie a queste frequentazioni e ai V-disc che riceveva in dono dagli amici americani fu il primo musicista della sua generazione a trovare una strada completamente nuova ed originale, per la capacità di confrontarsi con modelli diversi da quelli iniziali, che erano appunto l’ascolto dei dischi e l’imitazione dei maestri del jazz.

Il suo stile oscillava tra la fantasia di Errol Garner, al quale rubò quel caratteristico sfasamento ritmico nel gioco delle due mani che ne accentuava lo swing, e la freddezza, propria del cool jazz, di Dave Brubeck. Alla testa di un quartetto napoletano stupì l’Italia intera al I Festival Internazionale del Jazz di Sanremo nel 1956. “Meglio di così non si può in Italia” esclamò Romano Mussolini, uno dei pianisti italiani più acclamati, prima di avviarsi sconsolato sul palco. All’inizio degli anni Sessanta si trasferì in Svizzera per vivere di musica, ma a causa del suo carattere schivo non riuscì ad imporsi al grande pubblico, nonostante il suo enorme talento.