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Angelo Cermola

Classe 1938, agronomo di professione e musicista di grande sensibilità, Angelo Cermola iniziò a farsi le ossa al seguito dei primi gruppi che suonavano musica da ballo. Al seguito di queste formazioni, imparò a conoscere tutto il repertorio classico della canzone americana. Era la fine degli anni Sessanta, la rivoluzione culturale, il maggio francese, i Beatles, avevano tradotto le aspettative dei giovani in un sogno collettivo. L’arte, la musica in particolare, non era più una cosa per pochi eletti ma, al contrario, divenne uno strumento di comunicazione immediata che si estese a macchia d’olio.

Credits immagine: Courtesy Carlo Pecoraro

Il jazz cedette il passo alle nuove frontiere della musica rock. C’era un fermento musicale che si traduceva in un genere che iniziava a fondere esperienze diverse. E in questo, la musica afroamericana ebbe il compito di sintetizzare gli stilemi tipici del jazz con suoni più moderni, favoriti anche dai primi strumenti elettrificati. Angelo Cermola così, si ritrovò al fianco di James Senese in quella palestra di talenti che prendeva il nome di Napoli Centrale e a vivere in prima persona quella rivoluzione campana che fu il neapolitan power.

A Roma, dove studiava, era in contatto con l’ambiente jazzistico della capitale, Ninì Rosso, Gianni Cazzola, Gianni Basso, Oscar Valdambrìni. E fu grazie a queste frequentazioni che imparò ad apprezzare la musica del pianista Thelonius Monk e in generale a padroneggiare il be-bop. In breve tempo, in città, Angelo Cermola divenne il padre spirituale di una intera generazione di giovani musicisti. E lui per primo ad introdurre il bop, a suonare in modale, insomma a mettere in scena le gradi trasformazioni che in America avevano mandato in pensione una intera epoca. Un lavoro, il suo, che cristallizzò il suono della scuola salernitana: un moderno ed evoluto post bop.